
Il Consiglio d’Europa ha pubblicato il 30 gennaio un report sulla compatibilità con gli standard delle norme europee del nuovo decreto legge n. 1/2023, il c.d. Decreto ONG.
Il gruppo di esperti dell’Expert Council on NGO Law si è focalizzato su due questioni fondamentali: la compatibilità del decreto legge con il diritto di libertà di associazione e la necessità di un dialogo tra le autorità e la società civile nel processo decisionale che porta alla creazione di tali misure.
Per quanto concerne il primo punto, viene ribadito che il c.d. decreto ONG confligge con l’art. 11 della Convenzione europea sui diritti umani (CEDU) rubricato “libertà di espressione e informazione” e con la Raccomandazione CM/Rec 2007/14 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sullo status giuridico delle organizzazioni non governative in Europa. Emerge, infatti, che alcune disposizioni del decreto sono in netto contrasto con il diritto alla libertà di associazione.
Le attività delle ONG in supporto di rifugiati, migranti vittime di tratta e traffico sono una manifestazione della loro libertà di associazione, diritto che le autorità nazionali non possono limitare, a meno che vengano giustificate in modo sufficiente o comunque conformemente ai principi di necessità e proporzionalità. Requisiti che sembrano mancare nella norma de qua.
Focus principale del decreto legge è quello di porre forti limiti alle attività delle organizzazioni umanitarie impegnate in operazioni di ricerca e soccorso in mare. Non bisogna dimenticare, però, che la loro missione nasce proprio dalla mancata presenza a livello nazionale ed europeo di un piano concertato di soccorso in mare.
Il decreto in analisi impone una serie di obblighi alle navi umanitarie, che sono troppo onerosi e talvolta anche illegittimi e che rischiano di rendere impossibili le attività SAR. Le norme che si ricavano dalle disposizioni contenute nel comma 2-bis del DL n. 1/2023 richiedono che il porto di sbarco assegnato dall’autorità competente debba essere raggiunto senza ritardo (lett. d). In questo modo il rischio è quello di produrre una situazione per cui il capitano della nave non può soccorrere persone in distress, non rispondendo all’obbligo derivante dalle leggi del mare e dal Protocollo addizionale della Convenzione ONU di Palermo sullo smuggling of migrants. Viene altresì richiesto ex. art. 1, co. 1 lett. b) che vengano avviate tempestivamente iniziative volte ad informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità. Anche questa disposizione desta perplessità in quanto potrebbe comportare alterazione di competenze, in quanto tali operazioni possono avvenire solo una volta giunti sulla terraferma e dopo lo sbarco in un POS. In secondo luogo, gli esperti del Consiglio d’Europa sottolineano che è mancato un vero e proprio dialogo con coloro che effettivamente prendono parte ai salvataggi in mare. Prima di procedere con la traduzione del decreto in legge sarebbe auspicabile consultare la società civile e le ONG, fruitori ultimi del decreto in oggetto. Per questi motivi, gli esperti suggeriscono la necessità di “revocare” il decreto finché non ci saranno consultazioni in tal senso e finché non verranno attuate misure che assicurino che le vite dei migranti non vengano messe a rischio dal fatto che le ONG non possono agire efficacemente.
Da ultimo, è fondamentale ricordare che la questione del c.d. decreto ONG era stata già precedentemente oggetto di preoccupazione da parte del Consiglio d’Europa. Il 26 gennaio Dunja Mijatović, Commissario per i diritti umani del CdE, aveva inoltrato una lettera al ministero dell’Interno Matteo Piantedosi in cui chiedeva di revocare o per lo meno rivedere tali norme. In modo particolare, Mijatović ribadiva che le disposizioni del decreto potessero ostacolare le operazioni SAR da parte delle ONG e condannava la prassi attuata dal governo di assegnare porti lontani per lo sbarco di quanti vengono soccorsi in mare. Altresì richiedeva di sospendere la collaborazione e la cooperazione con il governo libico.
La risposta da parte del Viminale è giunta ieri, 1 febbraio, nel tentativo di giustificare questo cambiamento normativo. In modo particolare, il Governo sottolinea che il provvedimento in oggetto nasce dalla necessità di regolare “le attività svolte da navi private che effettuano recupero di persone in mare”, dal momento che il “modus operandi, diffuso tra le ONG, si pone al di fuori delle fattispecie previste dalle Convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare”.
Foto in copertina: Oglaigh na hEireann