Modifiche ai Decreti Sicurezza: luci e ombre di un intervento importante

Il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di Decreto Legge di modifica dei c.d. Decreti Sicurezza: un primo importante passo per rafforzare i diritti, la protezione e l’integrazione di chi arriva nel nostro paese. Attendiamo di vedere il testo definitivo, ma speriamo che durante il dibattito parlamentare possano essere fatti ulteriori e significativi passi in avanti.

Uno degli elementi più rilevanti è l’ampliamento delle categorie di persone beneficiarie della protezione speciale, che dovrà essere riconosciuta anche a coloro che non potranno essere espulsi perché rischiano di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti o perché a rischio è il loro diritto alla vita familiare e privata. Per valutare la violazione di tali diritti, si terrà conto della natura dei vincoli familiari, dell’inserimento sociale in Italia, della durata del soggiorno nel nostro Paese, ma anche dell’esistenza di legami culturali, sociali o familiari nel Paese di origine. Queste previsioni rimettono al centro i diritti delle persone e permetteranno di superare, almeno parzialmente, l’abolizione della protezione umanitaria, estendendo la platea di chi ha diritto a forme complementari di protezione, in attuazione degli obblighi costituzionali e internazionali dell’Italia. Così come richiesto anche dal Presidente Mattarella.    

L’estensione della durata del permesso di soggiorno per protezione speciale da 1 anno a 2 anni e la convertibilità dei permessi di soggiorno – tra cui quelli per protezione speciale, per assistenza minori e per calamità – in permessi per lavoro sono strumenti fondamentali per consolidare i percorsi di integrazione e permettere un graduale ma più concreto radicamento di quanti arrivano nel nostro Paese. Misure che contribuiranno a superare la precarietà in cui migliaia di persone bisognose di protezione sono state costrette dai Decreti sicurezza.

Importante anche la parte relativa alla conversione del permesso di soggiorno per minore età: viene ripristinata la norma per cui la mancata emissione nei termini del parere del Ministero del Lavoro non può legittimare il rifiuto della conversione del permesso di soggiorno. Viene fatto rivivere il principio del silenzio-assenso applicato in questa materia dalla Legge Zampa, volto a tutelare le migliaia di minori stranieri non accompagnati che arrivano nel nostro Paese.

Lo schema propone inoltre una revisione del sistema di accoglienza. La prima assistenza dovrebbe essere gestita nei centri governativi, mentre l’accoglienza garantita – nei limiti delle disponibilità – nelle strutture del Sistema di accoglienza e integrazione – SAI (che va a sostituire il SIPROIMI).  Purtroppo vengono previsti due diversi livelli di centri: uno in cui vengono erogati servizi base per i richiedenti protezione internazionale e un secondo con servizi finalizzati all’integrazione per le altre categorie di ospiti. Siamo convinti che l’integrazione debba partire dal primo giorno di arrivo in Italia e che anche ai richiedenti asilo debbano essere offerti servizi qualificati per consolidare il loro percorso di inclusione. Un investimento fatto non solo sulle persone, ma anche a favore delle comunità che le accolgono. 

Preoccupa inoltre molto il fatto che l’inclusione dei richiedenti protezione internazionale, dando priorità all’inserimento delle persone appartenenti a categorie vulnerabili, sia subordinata alla disponibilità dei posti nel nascente SAI. Crediamo debba essere definitivamente superata la logica dei grandi centri governativi e sancito il passaggio verso un unico sistema di accoglienza diffusa che permetta di rilanciare il ruolo degli enti locali e favorire un modello che vede nel dialogo con il territorio un punto di forza.

Purtroppo permangono ancora molte delle limitazioni imposte dai Decreti Sicurezza.

In riferimento alla protezione internazionale, preoccupa molto che i concetti di paese di origine sicuro e di alternativa di fuga interna non siano stati messi in discussione. Sono previsioni che contrastiamo da sempre, perché limitano fortemente le garanzie di chi chiede protezione nel nostro Paese e che, purtroppo, sembrano ormai essere acquisite come parte immodificabile del nostro ordinamento nazionale.

Così come non sono state modificate le ipotesi di reato che, in caso di condanna definitiva per ragioni di sicurezza e ordine pubblico, comportano la revoca o il diniego della protezione internazionale. Ci chiediamo se la condanna, seppur definitiva, per un reato quale “violenza o minaccia a pubblico ufficiale” possa giustificare la lesione, ovvero la messa in pericolo, della “vita”, tutelata e garantita dalla protezione internazionale.

Per quanto riguarda le ONG impegnate nel soccorso in mare – che con il Decreto Sicurezza bis potevano vedersi impedito l’ingresso nelle acque territoriali italiane qualora fossero state accusate di violare le leggi italiane sull’immigrazione, con multe che potevano arrivare fino a 1 milione di euro e confisca della nave – il nuovo provvedimento non elimina le multe ma le riduce fino ad un massimo di 50mila euro. Tali sanzioni sono previste solo in due casi: quando le operazioni di soccorso non sono immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo o quando non sono effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e il soccorso in mare. Non è più prevista la sanzione amministrativa della confisca della nave ma resta la rilevanza penale che si rifletterà nella decisione del giudice. Le multe potranno essere comminate quindi solo all’esito di un processo e non a discrezione del prefetto.

Interventi che vanno sicuramente a incidere positivamente su un quadro persecutorio. Avremmo voluto però una modifica più ambiziosa che eliminasse completamente il Decreto sicurezza bis che ha criminalizzato non solo le ONG ma le attività di soccorso e salvataggio nel Mediterraneo rendendole, di fatto, pressoché impossibili.

Molto più coraggio avremmo voluto anche sulla cittadinanza. Il testo prevede il passaggio da 48 mesi a 36 mesi di attesa per la definizione della richiesta di cittadinanza. Un anno più di quanto fosse previsto dalla normativa precedente ai Decreti sicurezza. Un termine che, inoltre, non si applicherà retroattivamente ma solo per chi chiederà la cittadinanza dopo l’entrata in vigore della nuova legge. Crediamo che sia davvero un tempo ingiustificato, un’attesa richiesta a persone che già aspettano 10 anni, fatti di lavoro e di contributo attivo alla nostra società, prima di poter ambire a divenirne cittadini.  

Sempre sulla cittadinanza non viene poi modificata una norma discriminatoria e di dubbia costituzionalità, quella che prevedeva che il termine per il rilascio di certificati da presentarsi per l’istanza di cittadinanza da parte della pubblica amministrazione fosse dilatato fino a 6 mesi. Così come non viene abolito l’istituto, anch’esso discriminatorio, della revoca della cittadinanza che si applica solamente a chi ha acquisito la cittadinanza. Creando una categoria di cittadini di serie B.

Queste sono alcune delle luci e delle ombre di un intervento importante. Un primo passo, ma crediamo che molto ancora resti da fare.  Auspichiamo che in sede di conversione si possa lavorare per il suo miglioramento.