Crisi umanitaria al confine tra Bielorussia e Polonia: continuano i respingimenti e le violazioni di diritti umani dei migranti bloccati in frontiera

Sono ancora drammatiche le notizie che arrivano dalla frontiera tra Polonia e Bielorussia, dove moltissimi migranti continuano a pagare il costo della politica di strenua protezione dei confini attuata dal governo polacco.

A fine gennaio, dando seguito alla strategia annunciata lo scorso novembre, nel pieno delle tensioni con il regime del premier bielorusso Lukashenko, le autorità polacche hanno dichiarato di aver avviato i lavori per la costruzione di una barriera di 186 chilometri sulla linea di frontiera, così da bloccare il flusso di migranti provenienti dalla Bielorussia. Una strategia appoggiata da altri 11 Stati UE che, in ottobre, nel promuovere congiuntamente la costruzione di muri sui propri confini per garantire la “protezione” delle frontiere dell’Unione, ne avevano chiesto il finanziamento con fondi comunitari, suscitando reazioni contrastanti tra le istituzioni europee e gli altri Stati membri.

In attesa del completamento del muro – annunciato per la metà del 2022 –  la Polonia continua ad attuare sistematici respingimenti di uomini, donne e bambini verso il lato bielorusso del confine, lasciando centinaia di persone prive di ogni forma di protezione e assistenza umanitaria, bloccate in una foresta che è ormai tristemente conosciuta come “la giungla”, esposte al rischio di morte per mancanza di cibo, disidratazione e ipotermia, nonché a continue violenze da parte degli agenti di frontiera.

Una situazione su cui si è recentemente pronunciata anche la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, depositando le sue osservazioni scritte alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo su un caso relativo, appunto, alla situazione dei richiedenti asilo e dei migranti bloccati al confine polacco-bielorusso (R.A. e altri c. Polonia). Basandosi sull’evidenza raccolta nel corso della sua missione dello scorso novembre in Polonia, e sul monitoraggio di quanto accaduto negli ultimi mesi, la Commissaria ha concluso che:

  • in Polonia esiste una chiara pratica (“clear practice”) di respingimenti di migranti e richiedenti asilo in Bielorussia, che avvengono indipendentemente dalla situazione individuale di tali persone e, in particolare, dal loro diritto alla protezione internazionale;
  • tale pratica, consentita dalle nuove regole adottate dalla Polonia nell’agosto 2021 e dalla legge adottata nell’ottobre 2021, è di natura ripetuta e sistematica (“repeated and systematic in nature”);
  • i recenti cambiamenti nel quadro normativo della Polonia introdotti ad ottobre 2021 hanno reso in gran parte illusorio (“largely illusory”) l’esercizio del diritto di accesso alle procedure individuali e di richiesta di protezione in Polonia per i migranti e i richiedenti asilo che attraversano il confine dalla Bielorussia in modo irregolare;
  • i respingimenti rischiano di esporre i migranti a rischio di tortura o di trattamenti inumani o degradanti per mano di agenti statali bielorussi, il che è incompatibile con l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). In proposito, viene evidenziato che il trattamento riservato ai migranti e ai richiedenti asilo da parte della Bielorussia è ben documentato ed è, o almeno dovrebbe essere, noto alle autorità polacche;
  • l’incapacità delle autorità polacche di fornire assistenza umanitaria ai richiedenti asilo e ai migranti, e le restrizioni poste all’accesso alla zona di confine per le persone e le organizzazioni che forniscono supporto umanitario e assistenza legale hanno contribuito all’aggravamento della già gravi condizioni umanitarie, materiali e sanitarie che affliggono molti migranti e richiedenti asilo intrappolati al confine, provocando gravi danni alla salute di molti di loro e, nei casi più gravi, causandone la morte.

La Commissaria Mijatović ha evidenziato che la limitata disponibilità di assistenza umanitaria e legale ai richiedenti asilo e ai migranti intrappolati nei boschi è ulteriormente aggravata dalle molestie e intimidazioni nei confronti di organizzazioni umanitarie, attivisti e residenti locali che forniscono tale aiuto, in parte anche alimentate dalla stigmatizzazione di migranti e rifugiati fatta dalle autorità.

A quanto accade ai migranti bloccati sul confine e a coloro che cercano di aiutarli si è interessato anche, in Italia, il Comitato permanente sui diritti umani nel mondo istituito presso la Commissione Esteri della Camera, che mercoledì scorso ha ascoltato in audizione pubblica la testimonianza dell’attivista polacca Kasia Wappa, residente nella “zona rossa” imposta dal governo polacco e impegnata nell’assistenza e nel sostegno dei migranti bloccati al confine, insieme ad altri attivisti della rete Grupa Granica.

Nel corso dell’audizione – che si inserisce nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’impegno dell’Italia nella Comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni – l’attivista ha evidenziato dettagliatamente gli aspetti geografici, politici e giuridici della crisi, denunciando le molteplici violazioni dei diritti umani dei migranti, che confermano quanto riferito nel rapporto della Commissaria Mijatović. L’attivista ha riferito, in particolare, di persone rimaste per giorni senza cibo, costrette a bere acqua della palude perché incapaci di reperire acqua potabile, di persone ferite o malate a cui è stato rifiutato soccorso medico, di percosse e colpi inferti con pistole di stordimento, di sequestri di effetti personali e in particolare cellulari, gli unici strumenti con cui i migranti possono mantenere contatti con i familiari e orientarsi nella foresta.

Interrogata sui rischi che corrono gli attivisti, ha inoltre chiarito che, oltre agli ammonimenti e alle intimidazioni verbali e fisiche, le sanzioni posso variare da “semplici” multe all’arresto, nei casi in cui le autorità ritengano sussistere i presupposti del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Nel ringraziare il Comitato per l’invito ad offrire la sua testimonianza, Wappa ha chiesto che la situazione al confine polacco-bielorusso non sia dimenticata e che gli attivisti non siano lasciati soli, perché “la questione non è solo locale ma europea e quando le voci che vengono dalla base non vengono ascoltate dal governo polacco, noi confidiamo molto nella voce che viene da altri paesi europei, che ci possa aiutare, e possa aiutare a dare voce ai rifugiati. Non vogliamo che l’Europa sia soltanto uno slogan promettente, vogliamo che l’Europa possa dare prova che libertà, uguaglianza e solidarietà sono una cosa reale”.

Nel condividere pienamente tale desiderio, richiamiamo integralmente quanto affermato nell’appello all’UE al ripristino dei diritti e dei valori alle frontiere dell’Europa sottoscritto a fine novembre dal CIR e da moltissimi altri esponenti della società civile, prima di tutto con riferimento all’urgenza di ripristinare l’accesso all’area di confine per le organizzazioni che forniscono assistenza umanitaria alle persone bloccate sulla frontiera.

Continuiamo a ribadirlo con forza: nessuna politica di “protezione dei confini” potrà mai giustificare la violazione dei diritti umani di chi cerca di attraversarli.

 

L’audizione dell’attivista Wappa, trasmessa dalla Camera in diretta tv, può essere riascoltata QUI

Le osservazioni della Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa sono pubblicate QUI

Foto in copertina CC Kancelaria Premiera