Cosa prevede l’accordo sul Patto europeo su migrazione e asilo

Il Consiglio Affari interni dell’UE ha trovato un accordo sul Patto su migrazione e asilo lo scorso 8 giugno.

Un accordo che ci preoccupa enormemente: abbassa lo standard dei diritti oggi garantiti a quanti cercano protezione in Europa, consolidando un sistema ingiusto, basato sull’ossessione di negare l’accesso al territorio e diminuire le protezioni riconosciute a livello comunitario.

Lo European Council on Refugees and Exiles (ECRE) ha qui riassunto 48 dei punti fondamentali. Punti che non dovrebbero cambiare nelle future negoziazioni con il Parlamento europeo.

L’approccio delineato va in una sola direzione: esternalizzare quanto più possibile la gestione delle migrazioni alle frontiere e ai Paesi fuori dai confini europei con una conseguente drammatica riduzione degli standard procedurali e una significativa compressione dei diritti delle persone.

L’accordo si sostanzia essenzialmente in due linee di azione:
1) il trasferimento di responsabilità per la gestione dei flussi migratori a Paesi fuori dell’Europa. Paesi che in molti casi si trovano in condizioni socio-economiche particolarmente fragili e che si sono fatti già fatti carico di un numero di rifugiati molto superiore rispetto all’Europa. Paesi che non hanno sistemi in grado di garantire né protezione né accoglienza.
2) un ricorso sempre più esteso alle procedure di frontiera che diventano obbligatorie per le persone che arrivano da Paesi con un tasso di riconoscimento della protezione uguale o inferiore al 20%. Più persone saranno bloccate alle frontiere in situazioni simili a quelle, terribili, viste nelle isole greche.

L’accordo definisce cambiamenti molto rilevanti su questi punti e introduce anche un meccanismo di solidarietà obbligatoria, ma molto flessibile. Si applicherà in condizioni di “pressione migratoria” e permetterà ai Paesi di contribuire con ricollocamenti, assunzione di responsabilità per le persone arrivate, capacity building o contribuzioni finanziarie.

Siamo davvero preoccupati per le conseguenze di una tale impostazione. Contrariamente a quanto messo in campo per l’emergenza ucraina che, speravamo, potesse creare un precedente per le riforme sul sistema di asilo e per la gestione dei flussi migratori in Europa. Una risposta rapida, di protezione e di condivisione delle responsabilità. E invece abbiamo scelto un modello diverso, cercare di ammettere nei nostri Paesi numeri sempre inferiori di persone, senza curarci dei loro diritti.